Sega in un sottoscala per la povera signora Elvira, sessantenne e sottomessa a un giovane pieno di voglie…
Fabio mise il telefono in tasca. Elvira si strinse addosso il suo straccetto. Nessuno ancora l’aveva vista, ma sua figlia sarebbe arrivata a momenti.
– Posso andare? – disse; era sulle spine.
– No, aspetta… mi hai fatto eccitare, – disse Fabio – vieni, mi pare che dietro l’ascensore c’è un piccolo ripostiglio.
Infatti, ricavato nel sottoscala c’era un piccolo spazio, dove tenevano le scope e qualche attrezzo, ma era angusto e senza porta.
– Vieni, ecco… mettiti, al mio fianco, così. – La aiutò a raggiungere la posizione che desiderava; lei si trovò sulla sua destra, quasi alle spalle. Le prese la mano e la costrinse a sbottonargli la patta. Elvira dovette frugare nel pantalone, finché gli prese il cazzo e lo fece uscir fuori.
Era duro e bello grosso, non esagerato, ma notevole. Alla vecchia mancarono le forze, troppe emozioni quella sera, e adesso era con quel caldo pene in mano, nascosta tra le scale di casa sua.
– Fammi la sega, Elvira. – Disse Fabio; si vedeva che si gustava tantissimo tutta la situazione anomala di quel rapporto. Elvira non era brava in quelle cose; per lei toccare il cazzo del marito, faceva parte dei “preliminari” ma si era sempre limitata a carezze ed effusioni. Adesso doveva praticare una masturbazione a un maschio e lei non era per niente preparata.
Fabio dovette capire e, con pazienza, la guidò. Per lui doveva essere una situazione molto arrapante, infatti il pene gli diventò di pietra e gli bastarono solo un paio di minuti.
A quel punto, le adoperò la mano a suo piacimento: due o tre segate veloci, per poi fermarsi, e così via… finché Elvira lo sentì respirare affannosamente e mugolare; poi gliela tenne ferma, tutta in basso, col cazzo che svettava dalle dita.
Il ragazzo cominciò a sborrare, accasciandosi soddisfatto sulla sua amichetta.
Elvira, dimentica di tutto, seguì il suo istinto e continuò a menargli il cazzo con delicatezza, sgusciando con le dita tra quella sua crema calda e odorosa.
Fabio, si calmò, alla fine. Si pulì il cazzo sulla vestaglia di seta, imbrattandola di bianco. Diede un buffetto a Elvira e sgusciò via dal portone.
In quello stesso istante, sua figlia Claudia e il marito, entravano, incrociando lo sconosciuto che si allontanò a testa bassa. La luce si spense, per fortuna.
Elvira fece appena in tempo ad appiattirsi nello sgabuzzino e fu per puro caso che, i suoi, non la scoprirono in quelle condizioni.
Il giorno dopo…
La vecchia signora, in una sola notte, visse le più drastiche emozioni della sua vita ed eseguì pericolose e azzardate manovre, inconcepibili per la sua età e per il suo rango… forse solo per questo, se la cavò senza essere scoperta.
Per prima cosa, superò la certezza di crepared’infarto per la paura. Poi, rischiò di nuovo la vita quando, a piedi nudi, dopo aver atteso che sua figlia e il marito, chiudessero le porte dell’ascensore a vetri, perpetrò la lucida follia di far scattare il salvavita della palazzina. Per puro caso l’apparecchio era sistemato proprio nello sgabuzzino.
Il buio invase l’androne; corse per le scale alla meglio, brancolando nell’oscurità; ascoltando le recriminazioni sorde dei suoi congiunti, chiusi e spaventati nella cabina.
Sessanta secondi!
Le bastarono appena. Mentre il dispositivo di riarmo faceva di nuovo risplendere le luci, lei percorreva l’ultima tesa e s’infilava, come una ladra, nella porta socchiusa.
Corse in bagno e si lasciò cadere sulla tazza, trafelata e spossata da tante emozioni.
Dopo pochi secondi, sentì sua figlia entrare in casa blaterando.
Il giorno dopo, finalmente, rimase di nuovo da sola; in casa regnava il silenzio, come al solito. Dopo aver rassettato, sedette sul divano e si mise a ripensare, con calma, alla sua burrascosa nottata.
Verso le 18 chiamò Fabio, sembrava freddo ma cortese, non le chiese niente, nemmeno se le era piaciuto “servirlo”; probabilmente per lui era ben poca cosa.
A un certo punto si fece coraggio:
– Scusami Fabio… ma quelle foto… io non vorrei…
– Sei matta? Ascolta, te lo dico una sola volta: io non sono un ricattatore, non ho bisogno di niente. Voglio giocare con te… tutto quì! – Disse sbrigativo. – Se non ti va di obbedire, di essere assoggettata, puoi ancora dirlo. Ora o mai più, però. Non voglio che mi contraddici continuamente: esegui e basta! Ok?
– Ok, perdonami, – acconsentì vergognandosi della sua resa incondizionata, – Non succederà più!
– Brava, ecco; così mi piaci. La mia schiava, devi essere! Senza volontà, sempre obbediente. – Silenzio, per un attimo. – Ti sei già toccata per il fatto di ieri sera?
– Veramente non ho ancora avuto un momento per me… non ci ho pensato, ecco!
– Ok, allora fallo adesso, aspetto al telefono!
– Cosa? – L’aveva presa in contropiede, ma poi si riprese per non essere sgridata. – Scusa, sì, ho capito mi devo masturbare? Giusto?
– Esatto… fai come dico io però. Cosa indossi?
– Un camicione, azzurro… per casa.
– Sotto?
– Emh… solite cose, – non volle mentire – ho i calzerotti, mi spiace, poi mutandina e reggiseno. – Non era sicura di aver fornito la risposta giusta al suo, esigente, aguzzino.
Dopodiché, Elvira si ritrovò a dover eseguire una nuova, umiliante e pericolosa, performance; una delle tante che le sarebbero state richieste da quel misterioso ragazzo, Fabio. Un tipo dalla personalità doppia: una facciata “cristallina” e ineccepibile di lineare normalità e, dietro quello specchio luminoso, un’ombra buia, malvagia, che sembrava godere del disagio erotico della vecchia signora.
Elvira temeva di essere picchiata, sculacciata, usata sessualmente ai limiti dello stupro, invece Fabio, pareva godere a mortificarla nella sua personalità, come volesse spezzare il suo perbenismo, come volesse invalidare la sua integerrima figura sociale, innegabilmente un po’ borghese.
Non sapeva se credere alle parole dell’uomo; lui aveva sottolineato più volte, che quelle voglie e quegli stimoli perversi, gli nascevano proprio da quella loro tardiva frequentazione. Ma Elvira era troppo impegnata a superare le prove di abnegazione malevola cui la sottoponeva. Sembravano semplici, quasi banali, eppure, a causa di quei giochini, era già la seconda volta che rischiava tutta la sua rispettabilità di donna anziana, specchiata, madre e nonna ineccepibile.
Ed ecco che, qualche minuto dopo, chi fosse passato per la sua via in quel meriggio o, semplicemente, da dirimpettaio, si fosse affacciato alla finestra, avrebbe potuto intravvedere una signora, dalla carnagione chiara che, in piedi su una sedia, seminuda, procedeva a una masturbazione pubblica, proprio dietro i vetri del suo balcone.
Elvira aveva eseguito alla lettera gli ordini folli del suo nuovo padrone: maledetto!
“Sali su una sedia vicina ai vetri, mi raccomando. Se passa qualcuno deve vederti, si deve eccitare… bene,” aveva comandato Fabio, “ora apri la vestaglia, tutta, sul davanti, bene! Ora abbassa le mutande all’altezza delle ginocchia; fai saltare le zinne sopra del reggipetto. Mi raccomando: si devono vedere i capezzoli, capito? Poi ti masturbi finché non arrivi.”
Elvira, morta dalla vergogna, ebbe solo il coraggio di fargli notare che, se stava sulla sedia, i suoi occhi superavano il vetro, quindi non poteva sapere se qualcuno la stesse osservando…
– Esatto, – aveva risposto lui – è proprio quello che voglio… non devi sapere chi si gode la tua troiaggine. – Rise di gusto con un pizzico di malignità.
Elvira, rossa in viso, si arrese a Fabio e all’eccitazione selvaggia che si era impadronita di lei. Salì sulla sedia; iniziò a frugarsi tra i peli scuri della vagina, con due dita sul clitoride, meccanicamente, si trastullò in maniera fredda e distaccata. ma, pochi minuti dopo, immaginando lo spettacolo che dava di sé, impossibilitata a sapere davanti a chi si stesse esibendo, senza alcun ritegno, iniziò a eccitarsi come una furia. Cominciò una specie di danza erotica; s’infilò le dita, profondamente nello spacco. Ancheggiava come un’odalisca; con un moto rotatorio che non aveva mai imparato. Ancheggiava e si sollevava, gradatamente, da destra a sinistra, come si strusciasse su un maschio, come fosse una gatta in calore.
La paura di essere vista, in vetrina, mentre si toccava, superò la vergogna e divenne bollente eccitazione.
Venne a lungo; venne così, come non era mai venuta, e la sua unica paura era quella di cadere dalla sedia per il troppo, irrefrenabile godimento.
Due metri dietro la donna al balcone, grazie a Skype, il suo amante, da lontano si godeva la scena e, naturalmente, la registrava.
Fabio non si toccò ma il suo pene era gonfio e cercava sfogo. L’uomo sapeva che avrebbe sofferto di un male incredibile alle palle, ma ne valeva la pena.
Aveva altri comandi e altri progetti, per il giorno dopo.