Mi chiamo Elena, sono la secondogenita di una famiglia abbastanza benestante e felice. Ho un fratello che si chiama Renzo, è più grande di me di due anni. I miei genitori erano due persone molto unite e felici, mamma era anche una bravissima cuoca, che mi ha insegnato tante cose. Con mio fratello ho un rapporto speciale, lui è tutto per me. Da quel che ricordo, ho sempre sentito mamma dire a mio fratello: stai attento a tua sorella, gioca con tua sorella, tieni d’occhio tua sorella, abbi cura di tua sorella. Ovvio che, in un simile contesto, io son cresciuta tranquilla e protetta. Per lui son diventata, nell’ordine, la paperotta, la patatina ed infine la sua principessa. Appena adolescente, lui ha iniziato a praticare come sport le arti marziali, il judo per la precisione e, con durissimi allenamenti, ne ha ricavato, nel tempo, un fisico davvero bello. Muscoli forti, ben scolpiti, e tanta sicurezza in sé. Io, invece, con mamma ho praticato, senza troppi allori, il nuoto e, a parte il fisco ben modellato, non è stato sufficiente a vincere la tremenda timidezza che. associata, ad un carattere tendenzialmente chiuso, ha fatto di me una ragazza timida, schiva e sempre defilata. Renzo, invece, nel tempo si è creato una cerchia di amici e ragazze, che lo ammiravano e lui era sempre al centro di momenti allegri e divertimenti vari. Al passaggio dei miei sedici anni, diciotto per lui, mi son resa conto che ne ero profondamente innamorata. Lui era l’unica persona al mondo che mi capiva con un semplice sguardo, mi sentivo sempre sicura con lui, amata, protetta e felice. Lui, però, da qualche tempo aveva iniziato una storia con una bella ragazza. Monica, era la sua copia esatta, al femminile. Allegra, bella, estroversa e sempre pronta ad assecondarlo in tutto. Io ne ero terribilmente gelosa. Certo, ero consapevole che era la donna giusta per lui, ma se questo, da un lato, mi faceva piacere, da un altro mi faceva rodere il fegato di gelosia. Per ovviare a questo stato, che mi tormentava, da un po’ di tempo, cercavo di trovarmi un ragazzo, almeno mi sarei tolto lui dalla testa. Una sera, durante le vacanze natalizie, a una festa con tutti gli amici, ho ritrovato un ragazzo che per un certo periodo avevo frequentato: era dolce, carino, simpatico, mi sembrava che le cose con lui potessero filare al meglio. Mi son ritrovata un poco in disparte tra i suoi baci, le sue carezze erano sempre più audaci ed io quasi mi ero convinta a lasciarmi andare. Ad un tratto, la sua mano ha preso a risalire in mezzo alle mie cosce, mi son sentita a disagio, non volevo, ero tremendamente impaurita.
«No! Ti prego, no! Fermati, non voglio! Ti prego, lasciami!»
Ero talmente terrorizzata da parlargli con un filo di voce, mentre lui insisteva con aria incazzata.
«E no, cazzo! Dici che non vuoi? Prima mi fai arrapare e poi mi lasci così? No bella, ora si scopa! E non far storie, che io ne ho voglia!»
A quelle parole ho cercato di divincolarmi, ma lui era più forte: mi ha afferrato per le braccia, bloccandomi.
«E no, troietta, ora almeno me lo succhi e mi fai godere, altrimenti m’incazzo di brutto!»
Detto questo, mi ha fatto piegare e mi ha infilato in gola il suo cazzo duro. Istintivamente ho serrato le labbra, ma il risultato è stato un sonoro schiaffo in faccia.
«Piccola puttanella! Apri questa cazzo di bocca e stringi con le labbra e non con i denti! Non sai nemmeno fare un bocchino decente, sei una deficiente. Sta ferma!»
Mi ha afferrato la testa con entrambe le mani ed ha cominciato a pomparmelo in bocca, spingendomelo sempre più giù in gola. Ero immobile, terrorizzata, sentivo che avrei vomitato da un momento all’altro e, intanto, lui si muoveva sempre più velocemente dentro la mia bocca, fin quando ha goduto, schizzandomi in gola la sua sborra.
«aaahhh uummm … Sì, ingoia … sborro!»
Ho sentito lo schizzo direttamente in gola. L’ho spinto indietro con tutte le mie forze. Poi gliel’ho vomitato direttamente sul cazzo, sui pantaloni, sporcandolo tutto.
«Brutta stupida deficiente, che cazzo fai? Mi hai sporcato tutto; sei proprio una scema incapace!»
Mi ha urlato contro, mollandomi un’altra sberla. Alcune persone che avevano notato la scena, sono corse ad avvertire mio fratello: un attimo dopo è scoppiato il casino. Ho dovuto faticare sette camicie per impedire che lo riempisse di botte. Da quel giorno, le cose sono radicalmente cambiate. Ha ripreso a occuparsi di me, a tempo pieno. Mi portava sempre con sé, studiava con me. Se dentro di me ero dispiaciuta per lui, che aveva anche litigato con Monica proprio per colpa mia, di riflesso ero al settimo cielo: avevo di nuovo tutta la sua attenzione. Circa un anno dopo questo episodio, avvenne il dramma. Mamma e papà rimasero uccisi in un drammatico incidente stradale, provocato da un banco di nebbia. Il giorno del funerale fu terribile, sia per il nostro profondo dolore, sia per tutti i parenti ed amici che continuavano a trattarci come due poveri dementi che, da lì in poi, sarebbero morti per l’incapacità di vivere senza genitori. Enzo già lavorava in banca, mentre io ero a pochi mesi dal diploma. Di risorse ne avevamo: i nostri genitori avevano provveduto a destinarci, ad ognuno di noi, una discreta somma con cui il futuro si presentava meno nero di quanto poteva sembrare. Per tutto il giorno, fu un susseguirsi di pacche, abbracci e gente che ci definiva “poverini”, uno strazio nello strazio. Io e lui ci scambiavamo occhiate dandoci conforto a vicenda. Alla fine, ci ritrovammo soli. Lui seduto sul divano, mentre io ero distesa con le spalle appoggiate al suo petto, come amavo stare, quando guardavamo insieme qualche programma televisivo. Immobili, in silenzio, con tutto il nostro dolore. Improvvisamente, mi son girata, l’ho guardato dritto negli occhi arrossati dal pianto, l’ho abbracciato e lui ha abbracciato me. In silenzio, immobili, con lo sguardo che diceva tutto e niente, ho appoggiato le mie labbra alle sue, in un timido bacio, quasi una follia che lui ha condiviso con me, rispondendo al mio bacio. La sua lingua si è insinuata nella mia bocca e, insieme, hanno iniziato una danza erotica, che ci ha travolti di passione. Non era più un bacio, era un sigillo, che sanciva il nostro stato: io e lui soli e solo noi. Lungo, interminabilmente, ricco di passione. Avrei voluto non staccarmi più.
«Andiamo a letto.»
L’ho preso per mano e siamo entrati in camere mia. Lo volevo. Volevo esser sua, ma era indiscutibile che questo non fosse il momento giusto. Avrei avuto altre occasioni, ma non questa sera, ora volevo stare tra le sue braccia. Ci siamo spogliati e siamo entrati nel mio letto, che è ad una piazza e mezzo, ottima condizione per due che vogliono star stretti. Mi sono girata di spalle, distesa sul lato, ed ho sentito lui che, in silenzio, ha infilato le sue braccia sotto le mie ascelle. Ho afferrato le sue mani e le ho strette nelle mie: era tutto quello che volevo, mi sentivo al sicuro e mi son addormentata. Da quel giorno siamo diventati una coppia. Nessuno dei due ha più parlato di quel bacio, ma vivevamo come due coniugi. Sveglia la mattina, colazione insieme, un bacio e via: lui al lavoro, io a scuola. Al mio ritorno, sistemavo la casa e poi studiavo, in fine preparavo la cena per lui che tornava stanco, poi insieme, distesi sul divano a raccontarci la vita quotidiana. Poteva sembrare noiosa, ma non lo era. Anzi erano momenti di assoluta tenerezza, senza che nessuno di noi due andasse oltre. Il giorno del suo ventesimo compleanno, ho deciso di renderlo indimenticabile, sia per lui che per me. Ho preparato una bella cena a lume di candela, poi l’ho pregato di avvertirmi quando era in prossimità di casa.
«Sto arrivando; sei sicura che debba suonare? Perché non posso usare le chiavi?»
Quando ha suonato, l’ho fatto entrare e mi son nascosta dietro alla porta, nuda, con solo un accappatoio.
«Non ti girare, lasciati bendare e poi spogliati.»
Gli ho ordinato, bendandolo. Lui ha eseguito tutto. Vederlo nudo, mi ha eccitato da morire. Bello come un dio greco, moro, con i muscoli incredibilmente tesi e scolpiti: ho ammirato il suo cazzo, leggermente turgido, bello, lo avrei preso in bocca, anche senza nessuna esperienza, ma dovevo pazientare; se il mio piano avesse funzionato, lo avrei avuto tutto dentro di me. Si è lasciato prendere per mano e condurre in bagno, dove avevo, in precedenza, acceso delle candele profumate e preparato la vasca con acqua calda, sali ed oli profumati. L’ho aiutato a entrarvi e poi, velocemente, mi sono denudata e sono entrata insieme a lui, facendolo sedere.
«Ma, Elena, che fai?»
Mi ha chiesto quando l’ho sbendato e lui si è reso conto che stavamo seduti nudi dentro la vasca. Poi gli ho sussurrato nell’orecchio.
«Ssshhhh…sta zitto! Rilassati, come facevano mamma e papà, che una volta a settimana si dedicavano un bagno così.»
Ho appoggiando il mio seno contro le sue spalle. Sentivo i miei capezzoli duri premere contro di lui, mi dava un piacere sottile, intenso. Ho cominciato a praticargli un massaggio sul collo; lentamente si è rilassato. Ha appoggiato il capo contro la mia spalla ed ha lasciato che continuassi quel massaggio, che ora lo stava facendo eccitare. Con gli occhi chiusi, gemeva, mentre, a mia volta, raggiungevo uno stato di libidine esagerato. Lo desideravo, ma dovevo esser cauta, non volevo rischiare una debacle. Lo massaggiavo piano, scendendo lentamente sia sul torace, frizionando un po’ i capezzoli, poi, lentamente son scesa lungo le cosce, appena inarcate. Vedevo ora il suo meraviglioso palo ergersi dritto a pelo d’acqua. Bello, invitante, ma esitavo, ero terribilmente indecisa. Lui ha sollevato le braccia, ha portato le sue mani lungo le mie cosce, accarezzandole piano. Ero eccitata, sentivo le sue carezze lungo le gambe, mentre ruotava lentamente il bacino, sfregando la sua schiena sui miei capezzoli così duri da far male. Non ho resistito. Ho afferrato il suo durissimo cazzo, con una mano sopra l’altra e, ciononostante, non riuscivo a coprire tutta la sua lunghezza: ci sarebbe voluta ancora un’altra mano. Ho preso a segarlo piano, ero inesperta e temevo di fargli male. Lui ha cominciato a godere.
«…uuuuuuummmmhhhuummmm…».
Un lungo interminabile gemito. Ero pazza di felicità. Stavo facendo una sega al mio adorato fratello e lui ne godeva. Improvvisamente mi ha fermato, si è sollevato e, preso un telo, se n’è andato.
«Fermati, ti prego. Che stiamo facendo?»
Mi ha detto, uscendo dal bagno. Immobile, sconvolta, terrorizzata al pensiero di aver rovinato tutto, per un tempo che a me è sembrato eterno, son rimasta immobile, seduta nell’acqua a riflettere. Quando la porta si è riaperta, lui è entrato vestito con una tuta e, con un sorriso, ha preso il mio accappatoio, aprendolo davanti a me.
«Dai, esci, che voglio mangiare: ho fame.»
Ho capito che tutto era come prima. Mi son alzata, mostrandogli il mio corpo nudo in tutto il suo splendore. I suoi occhi hanno indugiato un po’ su di me, mi ammirava soddisfatto, ho notato il gonfiore all’altezza del suo inguine e questo mi ha reso davvero felice. La cena è stata superba. Ci siamo comportati come due innamorati, scambiandoci carezze, effusioni, piccole attenzioni. Ero pronta, lo volevo, ma la sua precedente reazione bloccava ogni mia iniziativa: avrei mal retto un suo nuovo rifiuto. Non potevo crederci: ero quasi certa che anche lui lo desiderasse. Ma, se invece, mi sbagliavo? Maledetta insicurezza. Siamo andati a letto e, come tutte le notti precedenti, ho dormito fra le sue braccia, sentendo premere dietro di me quel palo di carne bollente. La mia mente si è chiesta come mai, lui non osava, forse mi considerava brutta? Forse non voleva farlo con sua sorella? Allora perché questo comportamento così disorientante? Non ci capivo più nulla, ma l’unica cosa di cui ero certa, era che lo volevo. Solo con lui mi sentivo a mio agio. Le sue mani su di me erano le sole a non terrorizzarmi, al contrario mi davano sicurezza, tranquillità, mi eccitavano, ma non riuscivo a far una sola mossa per sdrammatizzare questa situazione che si era creata. Il mese successivo ho dato gli esami di maturità con ottimi risultati, poi abbiamo dovuto fare una cosa che proprio non si poteva rimandare. Renzo ha ottenuto una promozione, vice direttore di filiale, ma doveva trasferirsi in una città piuttosto lontana, quindi abbiamo deciso che sarei andata con lui. Inoltre una nostra amica incinta, cerca una casa più grande e la nostra sarebbe perfetta, quindi abbiamo deciso di affittargliela: ne avremmo ricavato una rendita sicura. Incominciamo a impacchettare le nostre cose per il trasloco e, dopo aver sistemato le cose di tutte le altre stanze, ci siamo messi a sgomberare l’ultima, quella dei nostri genitori. Dalla loro morte, non vi eravamo più entrati. Tutto è ancora come l’hanno lasciata, a parte un po’ di polvere, è tutto perfettamente in ordine, tipico di mamma. Insieme costatiamo che, in fondo, non sappiamo molto di loro. Ottimi genitori, felici, complici, ma dentro quella camera non ci eravamo quasi mai entrati. Mamma era gelosa delle sue cose. È vero che vivevamo assieme, ma non avevamo mai curiosato nel suo armadio, dentro un cassetto o il comò. Con molta tristezza e tanta curiosità, abbiamo cominciato ad esplorare quel luogo. Io e mamma avevamo quasi le stesse misure, lei una taglia in più per effetto del seno: lei una terza piena, io al massimo una seconda. Le scarpe invece erano del mio stesso numero, poi non ricordo altro. Apro lentamente l’armadio; le cose di papà piacciono a Renzo, anche quelle sono di una misura in più, ma molte cose gli stanno bene e vuole conservarle. Man mano scopro che mamma era una donna che sapeva scegliere cose di buon gusto; moltissimi accessori, borse, scarpe, si abbinavano perfettamente fra loro. In un cassetto dell’armadio, scopro una vera collezione di bellissima lingerie. Ne avevo viste alcune, ma molte mi erano sconosciute. Tanga, string e guepiere bellissime che, sicuramente, indossava per papà, oltre calze auto reggenti, dal pizzo bellissimo. Decido di tenere tutto e lo impacchetto; in cima all’armadio ci sotto tre scatole di camicette di seta bellissime, poi scopro, dentro un’anonima scatola, un cofanetto di legno intarsiato, chiuso a chiave. Incuriositi, ci sediamo sul letto: cerco la chiave e mi ricordo che mamma ne portava una appesa al collo con una catenina d’oro. Guardo in una busta che ci hanno consegnato le autorità, dopo l’incidente. Dentro ci trovo i loro effetti personali: li avevamo messi in camera loro, ancora dentro la busta, senza mai aprirla. Ci sono i loro orologi, anelli e due braccialetti d’oro con una targhetta con incisa una frase:
“Io e te per sempre insieme.”
Hanno sempre tenuto al polso quei braccialetti, non se li toglievano mai. Trovo la chiave ed apro il cofanetto. Dentro ci sono dei documenti e un ritaglio di giornale, di tanti anni fa. Parla di un giovane agente delle forze dell’ordine, ucciso mentre cercava di sventare una rapina. Il trafiletto dice che lui, morendo, ha lasciato una giovanissima donna, sposata appena tre mesi prima. Leggo e resto basita: il giovane ha lo stesso cognome di mamma. Con gli altri documenti il quadro si delinea chiaro. Mamma era sposata con il ragazzo morto, nel tempo ha conservato il suo cognome, ma, quando siamo nati, a noi ha dato il suo da nubile, che poi era lo stesso di quello di papà, poiché era suo fratello. Noi li credevamo marito e moglie, ma non si erano mai sposati, essendo fratello e sorella. Infine comprendiamo anche perché nessuno ha mai avuto dubbi su di loro: erano venuti dal sud e qui, in questa nuova realtà, non li conosceva nessuno. Mia madre aveva usato il cognome da sposata, mentre lui, portando la barba ben curata, era riuscito a mascherare i suoi lineamenti, in modo da nascondere una eventuale somiglianza. Io son bionda, come papà, mentre Renzo è moro, come mamma: nessuno, in tutto questo tempo, aveva mai pensato ad una cosa simile sul loro conto. Incredibile! Avevano mantenuto il segreto per tutto questo tempo. Mi giro, riguardo il braccialetto di mamma, Renzo prende l’altro, comprendiamo la frase. Spingo Renzo disteso sul letto e gli vado sopra. Abbasso i pantaloni della tuta e m’impossesso, come una furia, del suo cazzo quasi turgido: me lo infilo in gola, lo voglio!
«No, fermati! … Elena, ti prego, fermati!»
Dice questo, mentre cerca di staccarmi da lui. Insisto, ho preso coraggio da ciò che ho appreso dei miei genitori. Lo tengo in bocca, lo sento crescere, cerco, con la mia pochissima esperienza, a farlo godere. Alla fine, mi parla con voce rotta dall’emozione.
«Ti prego, lo voglio pure io, ma fermati: facciamolo per bene.»
Mi stacco, lo guardo, lui comincia a spogliarsi, io lo imito; in un attimo siamo nudi. Lui mi distende supina, sale su di me, sento il peso meraviglioso del suo corpo premere contro il mio. Mi bacia, insegua la mia lingua, la succhia, mi accarezza i fianchi e le cosce, poi, lentamente, scende verso il basso; comincio a vibrare dal piacere. Le sue labbra percorrono ogni centimetro del mio corpo, tremo e mi fa impazzire la sua lentezza, ma anche questo modo di assaporare il piacere, me ne offre uno ulteriore. Succhia i miei capezzoli, li stringe fra i denti, mi fa gemere, lo spingo in basso, lo voglio fra le cosce, ma lui esita.
«…Dai…ti prego … non resisto … ti voglio … ora … uhhummmhummm…»
Sono scossa da brividi di autentico piacere, che mi stanno facendo arrivare al mio primo, vero orgasmo. Lui indugia fra le mie cosce. Sento il caldo respiro sfiorare il triangolino di peli che ricoprono la mia fighetta, che schiuma da morire. Sento colare i miei copiosi umori. Affonda di colpo la sua lingua lungo lo spacco e io raggiungo il mio primo orgasmo. Schiaccio la sua bocca sul mio clitoride, pressandogli le mani sul capo ed urlo di piacere.
«… aaaaaah … ora … amore … VENGO! … ora … sì …Vengo! … … uhumum…»
Urlo con tutto il fiato che riesco a far uscire dalla mia gola. Lo afferro per i capelli e lo trascino su di me. Sento la sua bruciante cappella appoggiarsi fra le labbra della mia fica fradicia. Inarco le gambe e mi preparo a riceverlo dentro di me. Indugia ancora un po’, poi, come un toro scatenato, mi spinge dentro il suo meraviglioso palo. Sento premere sull’imene, poi lo sfonda. Urlo, ma stringo le cosce, non voglio che esca. Lo incito a spingere sempre più a fondo.
«…aaaaaahhhhhh … Dai … non ti fermare! … spingimelo tutto dentro!»
Dopo un momento di esitazione, comincia a muoversi dentro di me con un ritmo deciso, intenso. Affonda tutto il suo arnese, lo estrae con calma, per poi infilarlo di nuovo in fondo. Godo, vengo e tremo, come non mai. Mi fa impazzire. Gli graffio la schiena ed urlo. Godo senza sosta di un orgasmo dietro l’altro, fin quasi a svenire per l’intenso piacere. Si ferma, mi rigira, mi mette sopra. Ora sono infilata dall’alto e lo sento tutto, fin dentro lo stomaco. Mi toglie il respiro, vorrei urlare ancora, ma il fiato mi muore in gola e resto a bocca aperta. Incomincio a muovermi su e giù. Ad ogni movimento, sento che lui esce e rientra sempre più in profondità e ciò mi fa impazzire. Alza le mani, afferra i miei seni e stringe i capezzoli fra le dita, in un misto dolore/piacere che mi stordisce, non ho più la forza di gridare i miei orgasmi. Mi distende di lato, mi rigira e poi, dopo aver sollevato una mia gamba, mi penetra da dietro. Lo sento sfondarmi con decisione. Mi scopa con movimenti molto veloci, deve esser al culmine anche lui. Lo esorto a venirmi dentro.
«Amore … dai … Riempimi! … Voglio il tuo seme dentro di me … sì, ingravidami!»
Stupita gli urlo queste parole. Lui non lesina altri durissimi colpi, fino a venire.
«Ora! … Elena … sborro! … sì … cazzo … eccomi … vengo!»
Esplode dentro di me con getti caldissimi, che la mia slabbrata micetta non riesce a contenere. Li sento colare di lato, sono sfinita e lui, come me. Abbiamo il fiatone, ma restiamo abbracciati. Poi, mossa dalla curiosità, gli parlo:
«Credi che abbiano avuto dei ripensamenti? Forse il terrore di esser scoperti li ha sempre accompagnati, ma son convinta che fossero felici della loro scelta e, poi, hai visto cosa c’è scritto sulla targhetta del bracciale? Credevo fosse una frase da innamorati, una promessa fra moglie e marito, invece credo che si riferisse alla loro irrituale unione. Un sigillo che ne ha sancito l’eterna unione, indissolubile, unica come la loro storia.»
Renzo mi ascolta, concorda con le mie parole, poi, come illuminato da una idea, mi sorride.
«Andremo a vivere lontano da qui, dove nessuno ci conosce. I tempi sono cambiati e se tu avessi un figlio, senza marito, non importerebbe a nessuno, quindi se sei rimasta incinta, lo terremo, vero?»
Lo abbraccio forte, lo stringo a me quasi con il timore di perderlo.
«Certo che lo teniamo! Anzi che ne dici di insistere? Sai, potrebbe non esser bastata l’innaffiata che mi hai dato; se ti va, potremmo continuare: e così bello sentirti venir dentro!»
Abbiamo continuato. Sono diventata la sua donna. Mi ha insegnato tante cose e, altre, le abbiamo imparate insieme. Da quel rapporto, o i successivi, è nato Matteo, nome di nostro padre. Dopo circa due anni è arrivata anche Carla, come nostra madre. Son passati già venti anni. Com’era successo a noi due, anche Matteo ha vegliato gelosamente su sua sorella. Da un mese, ho avuto certezza, anche se lo avessi sempre sospettato, che fra loro due ci fosse amore. Quando l’ho detto a Renzo, lui ci ha riso su, e poi ha accarezzato il bracciale dei nostri genitori, quello con la frase scritta.
«Sarà opportuno farne creare una copia: credo che anche loro ne avranno bisogno.»
Tre giorni dopo, li abbiamo, di proposito, sorpresi assieme. Dopo un iniziale momento d’imbarazzo, io mi sono avvicinata ad essi, nudi, a scopare sul suo letto e l’ho accarezzata. Forse era giusto così: anche loro hanno diritto a vivere, se lo vorranno “insieme, per sempre”.